alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
EXHIBITION
alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
at the 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia
GALLERY
Marialuisa Tadei
CORPO LUCE
Poems by Davide Rondoni
Introduction by Luisa Turchi
GALLERY
Sculptures by: MARIALUISA TADEI – Photographs by: MARCELLO VIGONI
alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia
at the 18th International Architecture Exhibition – La Biennale di Venezia
GALLERY
Non è sempre facile tessere un dialogo armonico tra scultura e pittura, eppure in questa mostra, pur nella distinta peculiarità poetica dei due artisti – la scultrice Marialuisa Tadei e il pittore Vito Campanelli – le intenzioni espressive di entrambi sembrano mirabilmente sintetizzate nei tre termini che compongono il titolo dell’esposizione: gesto, forma, astrazione. Un percorso di suggestioni visive che saprà colpire il visitatore poiché queste, lontane da speculative e vuote mode “pop-contemporanee”, affiorano con la massima autenticità dall’animo più profondo dei loro artefici.
La gestualità è insita nello scolpire, non c’è forse forma d’arte più gestuale, l’artista deve infatti forgiare direttamente la materia attraverso la sua manualità e i suoi sapienti gesti per farla divenire opera d’arte. Marialuisa Tadei riesce a farlo lavorando i più svariati materiali come il marmo, l’onice, l’alabastro, l’alluminio, l’acciaio, raggiungendo una sorprendente finitezza della materia che sembra quasi far dimenticare allo spettatore l’effettivo intervento fisico, materiale, quello ritmato dai colpi di scalpello, che come diceva Michelangelo «si fa per forza di levare». Ecco che le sue creazioni dalle superfici levigate e cristalline raggiungono una perfezione formale tale da sembrare, in alcuni casi, concepite direttamente dalla natura. Talvolta invece la forma, ed eccoci giunti già al secondo termine del nostro titolo, può divenire più complessa, abbandonando quel naturalistico sintetismo, approdando a eleganti e virtuose sinuosità, come nel caso di Sol Key. Opera, quest’ultima, che appare come un’evidente richiamo musicale alla forma della chiave di violino e che lascia sorpresi per la leggerezza che l’artista è riuscita ad infondere alla materia, in un delicato afflato di eleganza quasi neo-barocca. Ma tutte le opere della nostra scultrice non seguono nessuna volontà di mìmesis, dunque di rappresentazione del reale, non vediamo ritratti o immagini definite che imitano la realtà, al contrario le figure evocate sono sempre trasferite nella materia attraverso un meditato processo di astrazione, ed ecco l’ultimo termine del titolo.
Un’astrazione che ben rileviamo nella serie di sculture esposte realizzate in brillanti e specchianti superficie di alluminio e vetroresina. In queste scintillanti tinte cromatiche che illuminano le lucide superfici non bisogna essere ingannati dall’apparenza, non vi è quella dimensione kitsch legata ai temi del consumismo che troviamo nell’opera di Jeff Koons. Nelle sculture della nostra artista non troviamo mai infatti forme banali, appartenenti alla cosiddetta cultura di massa, ma al contrario originali sagome dalle forme snodate, dinamiche, che trovano la loro origine in un dettaglio della realtà, dalla natura o dall’anatomia umana, che poi viene trasfigurato in una rappresentazione indefinita, carica di una misteriosa arcaicità epifanica e di una profonda spiritualità. In fondo le sculture di Marialuisa Tadei vanno oltre la materia, i pesanti volumi sembrano librare nell’aria e loro magnetica potenza è tutta nell’anima della loro esteriorità riflettente, esse assurgono con slancio mistico a divenire sentiti “totem” della fede.
Una delle componenti più evidenti della pittura di Vito Campanelli è certamente la gestualità. Egli intrattiene con la tela un rapporto che è prima di tutto fisico, corporeo, la materia pittorica appare infatti ritmata dall’impeto della pennellata dell’artista che sembra proseguire, in uno spirito del tutto personale, la lezione pollockiana dell’action painting. Le sue invenzioni, in una metafora musicale, sono vere sinfonie del colore che possiamo così associare ai concetti di armonia e ritmo.
L’armonia delle sue invenzioni è costituita dalla gamma cromatica prescelta, che va dalle tonalità dei rossi intensi ai blu elettrici, passando per le cupe tonalità di nero, indagando quindi la vibrante forza che scaturisce dalle contrapposizioni coloristiche spesso accentuate, come impreviste alterazioni, da vigorosi colpi di bianco. Il ritmo risiede invece nelle istintive pennellate che scandiscono le brillanti composizioni. Possiamo quasi leggere in questi rapidi fendenti di pasta-colore un’atavica propensione veneziana al tocco fulmineo tintorettesco. Non è forse un caso che il nostro pittore passò la sua infanzia nella parrocchia della Madonna dell’Orto, avendo le finestre della sua camera affacciate direttamente sul chiostro della chiesa in cui è sepolto Jacopo Robusti, e quindi in quegli stessi luoghi dove quest’ultimo abitava e in cui lasciò alcune delle sue più funambolesche invenzioni, dimostrando come in laguna dalla statuarietà belliniana si era già arrivati alla pittura moderna. Ritornando ai termini del titolo della mostra, in Campanelli il gesto determina la forma. La tela campanelliana infatti non presenta uno schema compositivo predefinito, architettato, ma nasce in maniera istintiva direttamente dall’animo dell’artista.
Sono proprio le movenze improvvise del pennello che scandiscono con fluidità jazzistica l’esteriorità e dunque le forme di queste visioni. Quest’ultime non sono altro che moti interiori sublimati in bagliori di luce, in esplosioni cromatiche emozionanti che incantano l’occhio dello spettatore.
La fonte visiva delle creazioni del nostro artista anche in questo caso è lontana dalla realtà esteriore ed è puramente astratta, cosa che si intuisce a priori dal titolo dato ai suoi dipinti, che lungi dall’apparire didascalico, si limita ad una notazione, quella di “opus”, solitamente impiegata nella catalogazione di natura musicale, l’arte astratta per eccellenza.
Marco Dolfin
GALLERY
Quando si accostano più artisti per una stessa esposizione risulta sempre difficile generare un dialogo vero che metta in comunicazione opere dalle molteplici poetiche secondo un coerente fil rouge. Eppure nel caso di questa mostra, i due protagonisti, Marialuisa Tadei e Qikai Guo, così lontani tra loro per formazione, carriera, età, nazionalità, riescono l’uno nella scultura e l’altro nella pittura a comporre una sinfonia espositiva assolutamente coesa e consonante, dove l’anima di ogni opera porta il visitatore a seguire un unico ed emozionante flusso spirituale di eterea bellezza.
Ormai da anni il panorama artistico contemporaneo della scultura appare dominato ancora in prevalenza dalle propaggini dell’arte povera, dove uno straccio o un ramo secco possono essere idealmente considerati installazione-scultura. Mentre frequentando blasonate gallerie d’arte ci si può poi accorgere anche di un imperante gusto kitsch in cui, attraverso infiniti multipli riprodotti a stampo, l’appariscente e vana forma assurge ad un banale, se non nullo contenuto – che spesso, occorre rivelarlo, si limita solo a quello puramente commerciale e mercificatorio. Sembra così sempre più raro trovare scultori che si esprimano con grande maestria tecnica e attraverso un sentito ed autentico spirito indagatore, eppure, scandagliando bene, coloro che scolpiscono “per forza di levare”, usando la michelangiolesca definizione, esistono ancora.
Sicuramente tra questi c’è Marialuisa Tadei che si è affermata sulla scena internazionale attraverso le sue sempre eleganti sculture, riportando in auge l’assoluta nobiltà, fisica e spirituale, della materia. Le sue opere presenti in questa mostra infatti sono realizzate in ricercate e pregiate tipologie di marmo: verde Guatemala, sodalite blu, bianco di Carrara, onice bianco, alabastro, rosa Portogallo e rosso Francia. La materia viene levigata e modellata finemente dando vita a forme sinuose ed astratte che nel loro dinamico incedere rimandano a naturali ed armoniche sagome, in una purissima sintesi che può evocare per certi versi l’anatomia umana e dall’altra la massima perfezione dell’elemento naturale roccioso.
Il modello di riferimento formale o meglio la fonte d’ispirazione per Tadei non è tanto quella di un primitivismo plastico alla Henry Moore o alla Hans Arp, ma è in definitiva l’opera dell’Artista primigenio, ossia di colui che ha “scolpito” l’uomo e che ha plasmato la natura: Dio. Se come affermava con sentimento panteistico il filosofo seicentesco Baruch Spinoza: «Deus sive Natura» (letteralmente “Dio ossia la Natura”), allora in tutte le forme del creato è possibile trovare una parte tangibile della sostanza divina. Ecco allora l’intensa carica mistica che evocano le sculture della nostra artista, volumi che sembrano librarsi oltre la forza di gravità e superficie perfettamente lisce e dalle molteplici cremie che riescono mirabilmente a riflettere vividi bagliori luminosi. Una luce che come indica l’artista stessa ha un sublime valore spirituale poiché diventa il tramite per avvicinare l’uomo a Dio, in quanto essenza del divino stesso. Opere che andando oltre l’essenza fisica della materia diventano toccanti epifanie scultoree che illuminano l’animo dello spettatore.
La sentita dimensione spirituale che emerge dalle sculture esposte trova però una sua ideale prosecuzione in pittura nelle opere del giovane artista cinese Qikai Guo, originario del Kunming e ora specializzatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. L’artista affetto da una sordità moderata che lo ha portato ad inevitabili difficoltà comunicative – accentuate poi nell’apprendimento della nuova lingua – riesce invece ad esprimere tutta la sua interiorità senza alcuna esitazione e con purezza commovente nei suoi dipinti. Si tratta di un mondo evanescente, surreale, fatto di misteriose evocazioni figurative sospese in un’impalpabile dimensione eterea.
Le figure sono anime che si librano nello spazio immaginario dell’inconscio, come vediamo ad esempio in Anima che cammina, in cui una luminescente figura, che affiora direttamente da un ricordo d’infanzia di Qikai, veste i costumi tradizionali cinesi, con il tipico cappello conico, e si muove tra oscure presenze animali ed umane. Una di queste figure, la donna seduta in basso a destra è rappresentazione allegorica dell’Italia, una figura primitiveggiante che ricorda nel suo sintetico profilo quelle di Massimo Campigli e che sta dunque a testimoniare simbolicamente l’incontro tra i due distanti mondi, tra l’oriente e l’occidente ed ancora tra il vissuto passato e il presente dell’artista.
Talvolta le visioni posso materializzarsi anche in una dimensione più puramente astratta, priva di diretti riferimenti alla figurazione, come nel caso della grande tela Etereo, una composizione ritmata da fulgenti scintillii luminosi, da scure nubi in movimento che lasciano spazio ad epifanici e rassicuranti bagliori ultraterreni. Questa è una rappresentazione metaforica dello stato d’animo dell’artista nei momenti più bui, in cui egli va alla ricerca della luce interiore per arrivare al proprio conforto esistenziale, come egli stesso racconta attraverso queste semplici e allo stesso tempo illuminanti parole:
Il silenzio e l’oscurità sono un mondo misterioso e spaventoso al cui interno il mio disagio aumenta, espandendosi in tutto il corpo. Se voglio che la paura scompaia, la luce del sole che ho dentro deve diventare sempre più abbagliante. Quando il mio cuore si acquieta e riesco a percepirne le pulsioni, a scandire i respiri, in questo preciso istante scopro che la mia vita splende.
Un altro soggetto ricorrente poi che troviamo nei dipinti e nelle incisioni dell’artista è quello del mondo animale, sublimato sempre ad apparizioni enigmatiche e surreali: giraffe, rane, cani, farfalle, camaleonti e gufi. Una sorta di bestiario allegorico che rimanda ancora una volta alle paure e alle gioie dell’artista, stati d’animo che come in un’arcaica e magica metamorfosi prendono vita sotto forma di presenze animali.
Marco Dolfin
Venezia, estate 2021
When several artists are invited to participate in the same exhibition, it is always difficult to have an actual dialog running that links the artworks from multiple poetic inspirations to a coherent “fil rouge”. And yet, in the case of this exhibition, the two protagonists, Marialuisa Tadei and Qikai Guo, so distant from each other in terms of training, career, age, and nationality, can, the former as a sculptor and the latter as a painter, create a harmonious exhibition that is both consistent and cohesive, where the soul of each artwork leads the visitor to follow a unique and exciting spiritual flow of ethereal beauty.
For several years, contemporary sculpture art was dominated by the ramifications of the “Arte Povera” movement, where a rag or a dry twig could be considered as a sculpture installation. When attending high-end art galleries, one can notice a prevailing kitsch trend where – through endless multiples replicated in molds, a flashy and vain shape becomes trivial if not fully devoid of content – which often is limited to pure commercial “commodification”. It is significantly more difficult to find sculptors who express themselves with technical mastery and through a heartfelt and authentic inquiring spirit. However, searching with care, those who create sculptures “per forza di levare” as Michelangelo would say, still exist.
Marialuisa Tadei is certainly one of them. She established herself on the international stage through her ever-elegant sculptures, bringing back into vogue the nobility of matter in physical and spiritual form. In fact, her artworks on display at this exhibition are created out of refined and precious marble: Guatemalan green, sodalite blue, Carrara white, onyx white, alabaster, Portugal pink, and France red. The material is smoothed and finely modeled, thus giving life to curvy and abstract shapes that, in their dynamic presence, remind of natural and harmonic outlines, in a summary of purity that can somehow refer back to the human anatomy and simultaneously to the extreme perfection of the natural rock.
The formal model of reference or rather the source of inspiration for Tadei is not so much that of a plastic primitivism according to Henry Moore or Hans Arp, but it is ultimately the work of the “Primordial Artist”, that is, the one who sculpted man and shaped nature: God. If, as the seventeenth-century philosopher Baruch Spinoza stated with pantheistic feelings: “Deus sive Natura” (literally “God is Nature”), then in all creations, it is possible to find a tangible portion of the divine essence. This is from here that the intense mystical power of the artist’s sculptures originates. Volumes that seem to hover beyond the force of gravity and perfectly smooth surfaces with multiple colors that admirably reflect vivid flashes of light. Light that, as the artist herself says, has a sublime spiritual value because it becomes a vehicle to bring man closer to God, as the essence of the Divine itself. Works that go beyond the physical essence of the material to become touching sculptural epiphanies that illuminate the soul of the viewer.
However, the heartfelt spiritual dimension that emerges from the sculptures on display finds its ideal continuation in the paintings by young Chinese artist Qikai Guo, originally from Kunming and now specialized at the Academy of Fine Arts in Venice. The artist, who has moderate deafness that led him to inevitable difficulties in communication – made even more challenging by having to learn a new language – through his artwork, can express all his inner wealth without hesitation and with touching purity. It is an ephemeral and surreal world made of mysterious figurative inspirations suspended in an impalpable ethereal dimension.
The figures are souls that hover in the imaginary space of the unconscious, as we see for example in “Anima che cammina” (Walking Soul), in which a luminescent figure, emerging directly from a childhood memory of Qikai, dresses traditional Chinese robes with a traditional conical hat, and moves among obscure animal and human shapes. One of these figures, the woman seated on the lower right, is an allegorical representation of Italy, a primitive figure whose simple profile reminds of those by Massimo Campigli and thus symbolically bears witness to the meeting between two distant worlds: East and West and the artist’s past and present.
Sometimes the visions can also materialize in a more purely abstract dimension, without direct references to figures, as in the case of the large “Etereo” (Ethereal) painting: a composition marked by bright sparkles and dark clouds in motion that give way to enlightened and reassuring otherworldly glows. This is a metaphorical representation of the artist’s state of mind in the darkest moments when he seeks his inner light to reach his existential comfort, as he says using these simple yet clarifying words:
Silence and darkness are a mysterious and frightening world within which my discomfort increases, expanding throughout my body. If I want my fear to disappear, the sunlight inside me must become brighter and brighter. When my heart calms down, and I can perceive its beating, to breathe in and out, then in that special moment, I discover that my life is shining.
Another recurring subject that we find in the artist’s paintings and engravings is that of the animal world, always populated by enigmatic and surreal appearances: giraffes, frogs, dogs, butterflies, chameleons, and owls. An allegorical bestiary of sorts that once again refers to the artist’s fears and joys, states of mind that, as in an archaic and magical metamorphosis, come to life in the form of animal presences.
Marco Dolfin
Venice, summer 2021
Ripensare la materia, la sostanza delle cose qualunque, degli oggetti quotidiani, delle opere d’arte. Il senso della presenza, dell’ingombro, dell’occupare uno spazio, non lo spazio intero, solo una sua infinitesima piccola parte.
Ragionare sul tempo, la sua reale o surreale necessità. La sua durata.
Tutto dipende dalla visuale di partenza. Per un buco nero il tempo non esiste, un buco nero brucia tutto, anche le stelle. La memoria invece è fatta di tempo, quello all’indietro. Chi siamo oggi, chi siamo stati, chi erano i nostri genitori, i nostri nonni, il genoma, il ricordo chimico del nostro esistere.
E poi c’è la materia.
Tutto quello che vediamo, è materia. Almeno per noi, appartenenti alla razza umana.
Gli artisti prendono la materia e la trasformano. Le molecole diventano concetti. Il marmo si fa idea, la terracotta diventa carne, la tela assorbe colori che compongono forme visive.
Tre artisti dicono, in questa mostra, il senso della scultura e della pittura, la necessità della loro esistenza per noi, per chi ci ha preceduto, per chi verrà. Non c’è progresso senza arte. Non c’è conoscenza. E nemmeno il sogno di una eternità.
Marialuisa Tadei affronta i materiali duri, il marmo, l’alabastro, l’onice, la sua è una sfida. La scultura contro il tempo che erode distrugge annienta i segni del nostro passaggio.
Cosa importa all’Universo della nostra presenza? Nulla, direbbe Leopardi. Tutto, direbbe Einstein. L’arte s’incunea tra “essere” e “niente”. Di controcanto lo scultore padovano, Ettore Greco, risponde. La materia è fragile, la plasmo, la sfioro ma si disfa già mentre la lavoro. Le figure diventano quasi eteree, si sbriciolano nell’aria, la loro essenza è effimera, potente ma lieve, chissà se domani saranno ancora lì. E David Dalla Venezia, con le sue tele pazienti e faticose, costruite con migliaia di gesti invisibili, suggerisce che siamo mortali ma capaci di resistere e sognare. Una pennellata per ogni respiro, un battito di ciglia per ogni colore.
La vita è il luogo dove abitiamo.
Anna Caterina Bellati
Venezia, estate 2020
If we rethink matter, the substance of all things, whether everyday objects or works of art; think of the sense of presence, physicality, and the occupation of a space, but not space in its entirety, only an infinitesimal part of it; if we reflect on time and its real or surreal necessity, its duration…
It all depends on the vantage point. For a black hole, time does not exist: a black hole burns up everything, even stars. Memory, on the other hand, is made of time, of time looking towards the past: who we are today, who we have been, who our parents and our grandparents were, back to the genome and the chemical memory of our existence.
And then there is matter. Everything we see is matter. At least as far as we, as members of the human race, are concerned. Artists take matter and transform it. Molecules become concepts. Marble becomes an idea and terracotta becomes flesh, while a canvas absorbs the paints that make up visual shapes. In this exhibition, three artists recount the significance of sculpture and painting and how important their existence is to us, to those who preceded us and those who will come after us. There is no progress without art; there is no knowledge. Nor is there any dream of eternity.
Marialuisa Tadei works the hard materials of marble, alabaster and onyx in a challenge against time that erodes, destroys and annihilates the signs of our passage.
What does the Universe care of our presence? Nothing, Leopardi would say. Everything, Einstein would say. Art fits in between “being” and “nothing”. The Paduan sculptor, Ettore Greco, replies in counterpoint: matter is fragile – I can shape it and lightly touch it but it is already disintegrating as I work with it. Figures become almost ethereal, they crumble in the air, their essence is ephemeral, powerful but delicate, and who knows whether tomorrow they will still be there. In his patiently and meticulously worked canvases formed by thousands of invisible gestures David Dalla Veneziasuggests that we are mortal but still capable of standing firm and of dreaming. A brushstroke for every breath, a blink of the eye for every colour.
Life is the place where we live.
Anna Caterina Bellati
Venice, summer 2020
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